CENTRO TABOR

 

 

L'IDEA

Fin da quando sono diventato parroco, qui a Capua nel 1996, ho compreso che il lavoro da fare nei confronti dei ragazzi, e delle loro famiglie, era una quota indispensabile nel progetto di parrocchia, famiglia di famiglie; e tra questi, coloro soprattutto che vivevano situazioni di disagio o di difficoltà legati a problemi di natura economica o relazionale. Per loro, da subito, è nato un progetto con una serie di attività, di iniziative, che li vedeva coinvolti, protagonisti, e che con loro vedeva coprotagoniste le famiglie. E’in questa prospettiva, che negli anni, si elaborato un progetto per i minori e per le loro famiglie. Nell’ambito di questo progetto si sono realizzate anche delle strutture, il Centro Momo’s ne è una testimonianza chiara; luoghi nei quali i bambini, i ragazzi, i giovani potessero essere impegnati in iniziative di carattere culturale, sociale, relazionale, educativo e, naturalmente, ludico. La parrocchia aveva, però, necessità di avere anche dei luoghi chiusi nei quali integrare questa offerta, questa proposta. Realizzare, quindi, un vero e proprio Oratorio che potesse articolarsi su due strutture diverse: quella esterna, il Centro Momo’s, ed una interna. Accanto a questa necessità, naturalmente, c’era la problematica legata alla catechesi, soprattutto alla catechesi dei ragazzi, dei giovani, degli adulti, alla catechesi delle coppie, al cammino di formazione di quanti vogliono fare un percorso di fede all’interno della comunità. E’ nata così l’opportunità di riutilizzare i locali terranei del grande edificio adibito a scuola elementare, sito su via Roma. Questi locali erano da tempo abbandonati, soggetti all’umidità e al degrado. Attraverso una serie di atti, molto complessi che hanno visto protagonisti il Comune e la Scuola, la parrocchia ha stipulato una specifica concessione per l’utilizzo e la previa ristrutturazione di quegli spazi; e, oggi, a margine di quegli atti, stiamo per inaugurare quello che abbiamo voluto indicare come Centro Tabor. Il nome deriva da un luogo presso il quale Gesù ha condotto Pietro, Giacomo e Giovanni perchè con loro potesse vivere un’esperienza di intimità divina. Davanti a loro si è, infatti, trasfigurato; davanti a loro sono apparsi Mosè ed Elia in rappresentanza della Legge dei profeti. Davanti a loro si è avuta la manifestazione della Santissima Trinità attraverso la nube dello Spirito e la voce del Padre. Abbiamo voluto indicare questo nome, Tabor, proprio perchè l’esperienza che noi offriamo ai nostri ragazzi, ai nostri giovani, ai nostri adulti vorrebbe essere un’esperienza di trasfigurazione per tre motivi. Primo, ogni volta che noi facciamo catechesi noi diamo l’opportunità di incontrare la persona viva di Gesù; la catechesi, infatti, non è lo studio di un libro morto, di una tradizione senza anima, di una serie di precetti, di norme o di leggi, ma è un’esperienza viva con Cristo vivo. Ogni volta che facciamo catechesi, noi entriamo nel mistero di Gesù che si rende presente in mezzo a noi, che mostra a ciascuno il vero volto del Padre. Questo accade, infatti, nel momento della Trasfigurazione; il volto di Gesù cambia d’aspetto, diventa raggiante, luminoso, bellissimo: è il volto di Dio. Il risultato della catechesi è proficuo se l’uomo incontra Dio e si innamora del Suo volto, del Suo sguardo, del Suo sorriso. Un secondo motivo è legato al fatto che questo incontro avviene non da soli; in questo incontro, infatti, sono convocati Pietro, Giacomo e Giovanni- tre discepoli tra quelli prediletti di Gesù- tre discepoli che hanno condiviso con Gesù i momenti fondamentali della Sua vita terrena, che oltre a vederLo trasfigurato sul Tabor poi lo hanno visto segnato e prostrato dal dolore sul monte degli Ulivi. Incontrare Gesù significa fare Chiesa, fare comunità. Non è possibile fare esperienza di Gesù se non in un contesto orizzontale; in un contesto nel quale i nostri fratelli e le nostre sorelle, nello stesso cammino della fede, sono accanto a noi e con noi vivono momenti di intimità divina. Ma non solo. Sul Tabor è presente parte della Chiesa che con Gesù cammina, ma anche parte della Chiesa che già gode della Gloria del Paradiso. Sono presenti Mosè ed Elia,  questo perchè accanto a quelli che sono vivi con noi, ci sono quelli che ci hanno preceduto, che hanno vissuto l’esperienza di Cristo, che hanno vissuto l’esperienza della fedeltà alla sua Parola e che godono la gioia e la grazia della vita eterna. Mosè ed Elia, dicevo, sono in rappresentanza della Legge e dei Profeti, cioè della Bibbia, della Sacra Scrittura, e non ci può essere catechesi senza questa duplice dimensione. Da un lato, la fonte che è la Parola di Dio; dall’altro, la fonte che è la tradizione viva della Chiesa. Mosè ed Elia rappresentano appunto quella Parola; Pietro Giacomo e Giovanni la tradizione  viva. C’è un terzo e ultimo motivo che ci spinge ad indicare questo luogo come luogo speciale, Centro Tabor. I discepoli, infatti, pur godendo di un’esperienza meravigliosa che spinge Pietro a chiedere a Gesù di fare tre tende e di restare sul monte, sono invitati in realtà a scendere dal monte. Gesù, infatti, parla loro della Passione che lo attende a Gerusalemme e della futura resurrezione e pur non comprendendo loro si fidano della Parola di Gesù e scendono a valle per poter annunciare al mondo intero che quell’esperienza è un’ esperienza divina. Un obiettivo fondamentale della catechesi è offrire a tutti l’opportunità di diventare missionari. Far scaturire, cioè, dal Battesimo ricevuto la necessità di un annuncio nuovo agli uomini e alle donne d’oggi  dello stesso messaggio di fede. Proprio in questi giorni, i Vescovi del mondo sono riuniti in Vaticano per un Sinodo  sulla nuova evangelizzazione. Ma la nuova evangelizzazione è impossibile senza nuovi evangelizzatori, cioè senza uomini e donne che avendo fatto un’esperienza proficua di Gesù e del Suo Amore, sono pronti, testimoniandolo con la vita, ad annunciarlo al mondo. Ecco allora che la prova del nove della catechesi è appunto la missione; la catechesi “funziona” se tutti i soggetti della catechesi- i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti, i catechisti, le famiglie- diventano missionari nei contesti nei quali loro studiano o lavorano o vivono. Il motivo che ci spinge a guardare a questo luogo come al luogo del Tabor è triplice: l’incontro con Dio e il Suo mistero; la comunione piena con la Chiesa, quella pellegrinante sulla terra e quella gloriosa del Cielo; l’impegno per tutti di diventate testimoni credibili di Gesù e del Suo Vangelo. In questa prospettiva si innesta anche l’attività che noi facciamo nei confronti delle famiglie, soprattutto quelle in difficoltà. Perchè l’inserimento all’interno di una comunità più ampia, il sentirsi famiglia all’interno di una serie di famiglie, il poter godere di un sostegno amicale, innanzitutto, e poi anche sociale, economico, psicologico questo è vera integrazione. E’ solo nell’integrazione che scaturisce dalla solidarietà cioè la possibilità di una risposta efficace ai bisogni e alle difficoltà che le famiglie oggi più che mai sperimentano. La struttura presenta tre sale e una sala convegno. Abbiamo voluto intitolare le tre sale ai protagonisti dell’esperienza del Tabor. Quindi una sala è dedicata a Mosè, l’altra ad Elia e la terza, la più grande, agli apostoli. La sala grande, la sala conferenze, invece, l’abbiamo voluta dedicare ai quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni perchè solo da questa esperienza, raccontata nel Vangelo, oggi noi possiamo godere della fede in Gesù. Se non ci fossero stati loro che, con le loro comunità, hanno rielaborato i detti e i fatti di Gesù e sono stati pronti a testimoniarli al mondo, noi non potremmo, oggi, conoscere il Maestro né seguire la Sua parola. Quindi la sala conferenze ci sembrava bello poterla dedicare a loro che, nella potenza e nella forza dello Spirito Santo, rendono attuale ancora oggi il messaggio di Cristo.

don Gianni

 

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